Il 31 maggio del 1860, a Catania i soldati Borbonici feroce violenza contro la popolazione e contro gli edifici

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Di Santi Maria Randazzo

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Dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia anche Catania insorse contro i Borbone impegnandoli in una feroce battaglia costringendo i soldati borbonici a chiudersi nel palazzo comunale, anche grazie al contributo di Giuseppina Bologna, detta “Peppa La Cannoniera”. Nel frattempo era arrivato sul campo di battaglia anche il Poulet che cercò di avviare una trattativa, nel tentativo di far arrendere i soldati borbonici asserragliati nel palazzo del comune; venne però ferito ad una gamba e dovette essere trasportato altrove per essere curato. Dopo il ferimento del Poulet i rivoltosi si trovarono disorganizzati ed i soldati borbonici ritornarono alla carica mentre nel frattempo una nave da guerra borbonica cominciava a cannoneggiare Catania; dopo circa quattro ore di battaglia i rivoltosi furono costretti alla ritirata ed il Poulet ordinò ai suoi di ritirarsi verso Mascalucia, dove c’era il loro quartier generale.

Nei gruppi di rivoltosi che attaccarono le truppe borboniche erano presenti, in gran numero, abili cacciatori che inflissero pesanti perdite al nemico, pur essendo inferiori di numero; essendo rimasti senza munizioni i rivoltosi furono costretti a ripiegare, lasciando Catania nelle mani delle truppe borboniche che iniziarono a saccheggiare case e negozi e uccidendo quanti trovarono sulla loro strada. L’Alba del trentuno maggio 1860 se da un lato fu un giorno fausto per la città di Catania che si era ribellata in armi all’esercito borbonico, per liberarsi da quel duro giogo borbonico, quello stesso trentuno maggio ed i giorni successivi sarebbero stati ricordati a Catania come i giorni in cui le truppe borboniche, ormai avviate alla ritirata, si diedero al saccheggio, alla distruzione ed all’incendio di molti edifici della città, come era già avvenuto in seguito alla rivolta del 1849, a cui seguì una diffusa violenza sulle donne della città, senza distinzione di età, che aveva portato, tra altri episodi, alla morte di una ragazza di dodici anni vittima della violenza fisica delle truppe borboniche.

Dopo l’arrivo a Catania di un drappello di garibaldini, e dopo che le truppe borboniche presenti in quei giorni a Catania, a cui si erano unite le guarnigioni di Trapani, Girgenti e Caltanissetta, si erano ritirate a Messina il quattro giugno del 1860, Garibaldi richiese a F. Guillaume notizie sulle violenze perpetrate a Catania da parte delle truppe borboniche; così la relazione del Guillaume letta dal Generale: “ Dopo la giornata del trenta a Catania, alla lotta leale ed animata del combattimento, succede quella della strage degl’innocenti e degli inoffensivi sorpresi nelle strade, nelle case, e nelle finestre: Tutto ciò che vi è di spaventevole nei momenti di reazione, tutto si incontrava nelle strade, uomini, donne e fanciulli senza pietà uccisi tutti; questa è la legge del soldato borbonico vittorioso. I Soldati guidati dagli schifosi sbirri, spezzano le porte dei magazzini che rimbombano sotto i colpi della scure, e dopo averli saccheggiati, crepitan le fiamme, ed il fuoco del delitto succede al fuoco del combattimento! Sventura ai malarrivati innocenti, che fuggendo nella strada il fuoco divoratore delle case, lo accaiajo delle baionette, o il piombo omicida li aspettava, e li spegneva. Il numero delle vittime di questa categoria non è conosciuto, ma è grande! La morte sotto questa forma spaventevole, ha regnato tre giorni a Catania, fino al tre corrente, e un gran numero di edifici sono stati bruciati.” Il Governatore di Catania Vincenzo Tedeschi, nominato a tale carica da Garibaldi, già dal sei giugno predispose quanto necessario per valutare i danni subiti dai catanesi nella giornata del trentuno maggio 1860, in occasione delle devastanti scorrerie delle truppe borboniche affiancate, purtroppo, da qualche catanese che volle approfittare del generale trambusto e disordine per trarne profitto.

Il Governatore di Catania onde provvedere alla riparazione economica dei danni subiti dai cittadini catanesi e per valutare l’entità dei danni subiti, in data sei giugno 1860, incaricò gli ingegneri Gaspare Nicotra Amico, Mario Distefano, Gioachino Geremia di provvedere alla stima dei danni subiti dai catanesi, onde provvedere successivamente ad elargire un contributo per le riparazioni. Contemporaneamente il Governatore, in data otto giugno 1860, con una apposita ordinanza provvide a nominare una commissione che facesse una ricognizione degli oggetti trovati abbandonati dopo il saccheggio e li riconsegnasse, se individuabili, ai legittimi proprietari; con la stessa ordinanza invitava i cittadini catanesi che detenessero oggetti non propri, frutto del saccheggio del trentuno maggio, a consegnarli alla commissione nominata per tale fine e che era composta dal Reverendo Canonico Tesoriere Don Giuseppe Ferrara, dal Padre Guardiano dei Cappuccini, dal Signor Don Giuseppe Mirone, dal Cavalier Don Francesco Anzalone, dal Dottor Don Nunzio Caudullo, dal Signor Don Niccolò Mannino e da Don Giovanni Bellia di Don Giacomo. Sempre l’otto giugno 1860 il Governatore di Catania emise un’altra ordinanza con la quale disponeva che tutti i cittadini catanesi che avessero riportato ferite nel corso degli scontri avvenuti il trentuno maggio 1860, fossero curati a spese della città da parte del Dottor Antonino Vinci Chirurgo in Catania.

 

 

 

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